di Andrea Friscelli
Con il pezzo di oggi si conclude la serie di articoli sul nostro ristorante e sui tentativi fatti per inserire all’interno di questa attività persone con problematiche varie. Ho cercato di dare un panorama che andasse dai primi tentativi rudimentali di una accoglienza per gite scolastiche fino a situazioni più strutturate e vicine a quello che anche oggi è il nostro lavoro.
Il caso di cui vi parlerò oggi inizia nel 2009 e dura qualche anno. In quel periodo la cooperativa è ormai strutturata in maniera più stabile in tutte le sue attività e dunque anche per quanto riguarda gli inserimenti. C’è un team che valuta le proposte di inserimento all’inizio, che destina i soggetti ritenuti idonei verso l’attività che viene ritenuta più giusta in quel caso, ci sono orari e compensi ormai stabiliti e consolidati. Crediamo che questo aspetto che può sembrare solo burocratico abbia invece una importanza fondamentale nel far sentire a colui che arriva di essere inserito in una struttura che sarà in grado non solo di accoglierlo con regole precise ma anche di seguirlo e contenerlo con maestria nel suo percorso interno. Qualcosa del genere accade per Vittorio che arriva da noi nella primavera del 2009.
Vittorio (il nome è di fantasia), ci viene inviato dal Sert di una vicina ASL, ha da poco finito la comunità ed è alla ricerca di un lavoro. Gli piacerebbe avere un’esperienza nel campo della ristorazione, ambito nel quale ha già avuto in passato piccole esperienze come cameriere. Viene pertanto inserito nel nostro ristorante con un orario di circa venti ore settimanali da svolgersi al mattino.
Vittorio è un ragazzo bruno, spesso sorridente, ma che a volte invece si rabbuia improvvisamente come turbato da pensieri e sensazioni negative che lo attraversano. La famiglia, di origine siciliana, è composta da madre ed un fratello minore, il padre è morto in circostanze violente quando lui aveva sette anni.
Il suo approccio iniziale all’ambiente di lavoro è cauto e qualche volta leggermente colorito di elementi interpretativi per cui si sente mal giudicato e poco apprezzato. Si inserisce nello staff della mattina che comprende una cuoca (una ragazza giovane) dal carattere molto affettivo, da un cameriere invece freddo e distaccato, un lavapiatti (fortemente disturbato). Il lavoro è caratterizzato da ritmi lenti e non troppo stressanti. Vittorio si trova meglio, comincia a diventare padrone dell’ambiente e chiede di essere impegnato in modo più continuo non solo in sala, ma anche in cucina. Emergono anche tratti lievemente omosessuali e la caratteristica di una certa pesantezza e lentezza sia nella gestualità che nell’ideazione. La sua cura, ovviamente gestita dal Sert, consiste in un lieve dosaggio di farmaco antidepressivo, periodici controlli dell’urina ed in un incontro mensile con la famiglia condotto dal medico responsabile. Presso la nostra sede invece avvengono, con periodicità mensile, incontri di verifica con la psicologa e Vittorio stesso. Nei primi incontri emerge che Vittorio si sta trovando bene.
A giugno cambia quasi per intero lo staff di cucina, la cuoca ed il cameriere vanno via. Viene assunto un cuoco professionista di circa 50 anni. Vittorio va avanti nel percorso e si comincia a parlare di una possibile assunzione che coronerà il periodo d’inserimento. Al mattino si occupa del bar, poi serve in sala, a volte prepara degli antipasti, svolge altre piccole mansioni in cucina. Gli viene proposto un corso di formazione come aiuto cuoco, ma essendo effettivamente molto impegnativo, rinuncia. Il ritmo del lavoro, come tutti gli anni, aumenta di molto ed i mesi estivi sono faticosi per tutto lo staff di cucina, anche se molto soddisfacenti dal punto di vista dei ricavi.
Il cuoco si lamenta con noi che Vittorio è lento, qualche volta sbaglia a portare gli ordini, a volte si oppone ai suoi comandi. Intanto tutti notano che Vittorio sta ingrassando ed è diventato ancora più lento e “tonto”. Lo chiamiamo per un colloquio e ci conferma che sta mangiando in un modo eccessivo e che lui si trovava meglio con la cuoca che lo incoraggiava e lo valorizzava. Il nuovo cuoco tende ad escluderlo un po’ed anche l’altro cameriere fa tutto da solo, lasciandogli poco spazio. Inoltre, la situazione economica della cooperativa si fa più difficile, in accordo con la generale crisi economica che comincia a farsi sentire parecchio, e il progetto di una sua assunzione comincia a sfumare. Tutto questo gioca su di lui come elemento depressogeno, creandogli un vuoto interiore che cerca di colmare col cibo.
Il problema che si pone adesso è pertanto quello di svolgere un’opera di mediazione tra Vittorio e l’intero staff di cucina, cercando di valorizzare il suo ruolo e nello stesso tempo di prolungare l’orizzonte della speranza occupazionale attraverso due sole possibilità: o l’estensione del periodo d’inserimento o invece l’accompagnarlo a introdursi sul mercato del lavoro “normale” che però in questo particolare momento non offre molto.
Al culmine di questo periodo avviene che una cliente lascia il cellulare sul tavolo che lui ha servito. È un oggetto di pregio e Vittorio non resiste all’impulso di appropriarsene con l’intenzione di venderlo per procurarsi i soldi per la coca. Quando poi la cliente, accortasi della dimenticanza, telefona per avere notizie del suo telefono, viene naturalmente interpellato come cameriere di quel tavolo. All’inizio nega di averlo trovato, ma dopo una notte di angoscia, al mattino seguente viene in ufficio e, confessando la tentazione che ha avuto, riconsegna il cellulare.
È importante che nella spiegazione che dà dell’avvenuto, dica di aver pensato che il suo gesto avrebbe portato un danno a tutto il ristorante, facendo capire che, almeno in qualche misura, ha acquisito l’idea di far parte di una squadra, di un gruppo, mentalità così distante da lui al momento del suo arrivo.
La sua storia presso di noi continua ancora per un po’, poi Vittorio tenta il salto verso il mondo esterno, trovando lavoro presso un bar del suo paese. Non sono certo che il tentativo poi sia andato bene ma per lo meno la cooperativa gli ha fatto sentire che si poteva giocare una chance.
Come ogni palestra di riabilitazione la cooperativa ha, credo, il compito di ridare fiducia e speranza di poter di nuovo camminare da solo a chi, per i più svariati motivi, si è trovato a non saperlo più fare.
A volte questo cammino può essere intrapreso all’interno della stessa cooperativa, a volte invece può essere necessario tornare sul “libero mercato”, ma per noi entrambe le soluzioni sono indice del successo del lavoro svolto e che non può che farci piacere.
Con la speranza di aver dato uno spaccato delle problematiche che hanno riguardato e riguardano tutt’ora il nostro lavoro, e specificando che in questo settore non si raggiunge mai, a mio parere, un punto di arrivo definitivo ma bisogna sempre essere disponibili a rivedere metodi e giudizi, adattandoli (almeno un po’) alle diverse situazioni che via via ci si presentano, speriamo che anche per queste conoscenze che abbiamo messo a disposizione ci veniate a trovare numerosi, dandoci così la possibilità di continuare nella nostra opera.