di Paola Calefato
Ultimamente si sente spesso parlare di responsabilità sociale, sulla quale fioccano studi aziendali di esperti e attenti osservatori della società in evoluzione. Il tema pare ancora molto dibattuto, ci sono interpretazioni delle più diverse, come tra chi rievoca il concetto introdotto intorno agli anni settanta del novecento da Milton Friedman, primo teorizzatore del concetto, che considerava come unica responsabilità sociale dell’impresa, quella di accrescere i suoi profitti e produrre valore per gli azionisti, interlocutori privilegiati nell’ottica aziendale.
La responsabilità sociale nasce, infatti, nell’ambito delle aziende profit, per consentire loro di mantenere o aumentare la capacità di produrre utili, avvalendosi di un atteggiamento attento agli effetti sociali e ambientali delle loro attività, di per sé molto apprezzato dalla comunità di riferimento.
Evolvendosi e sperimentando le aziende si rendono conto che non è sufficiente soddisfare gli interessi dei loro azionisti, diventa di gran lunga più remunerativo avere lavoratori soddisfatti e clienti fidelizzati ai valori veicolati dal bene o servizio prodotto, rispettare le esigenze della comunità locale o sostenere gli enti pubblici nel perseguimento di finalità sociali.
A sostegno di questa tesi giunge nel 2001 il Libro Verde della Commissione europea che elabora una definizione condivisa di responsabilità sociale in cui si esplicita la necessità per le imprese di soddisfare non solo pienamente gli obblighi giuridici applicabili ma investire anche nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate.
In questa ottica ha senso parlare di responsabilità sociale anche nel settore non profit.
Se le finalità perseguite da queste organizzazioni sono di interesse generale e promozione umana, è anche vero che questo non è garanzia automatica di responsabilità e attenzione alle esigenze di tutti gli interlocutori coinvolti in queste realtà, a maggior ragione se le attività sono rivolte a particolari categorie di beneficiari.
La responsabilità sociale aggiunge al primario conseguimento di finalità sociali la capacità di contemperare le esigenze di tutti coloro che interagiscono o hanno un interesse nell’evoluzione delle organizzazioni, evidenziando una dimensione relazionale più complessa di cui non si può non tener conto.
Una gestione socialmente responsabile rende, quindi, le imprese protagonisti consapevoli e volontari della vita della comunità e del contesto in cui sono inserite, attenti gestori di relazioni piuttosto che semplici erogatori di beni e servizi.
In questo modo i “portatori di interesse” sono coinvolti nel governo aziendale, nell’identificazione della missione, condividendo quei valori ed obiettivi che orientano le scelte e le modalità di lavoro di un’impresa ed elaborano una strategia condivisa nel perseguimento delle finalità economiche e sociali dell’organizzazione.
A maggior ragione per le organizzazioni del Terzo Settore, sempre più spesso chiamate a promuovere politiche di welfare o a svolgere un ruolo attivo nella gestione del territorio, la responsabilità sociale rappresenta una grande occasione se colta nelle sue vere potenzialità.
Inutile sarebbe delegare a codici di condotta e certificazioni, bilanci sociali o di sostenibilità, un processo di concertazione e confronto indispensabile ad ottenere un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco.