di Andrea Friscelli
E’ noto che l’Australia è sorta come un’immensa colonia penale. Laggiù, infatti, gli Inglesi “esportavano”, dopo un durissimo viaggio per mare (durava dai cinque ai sei mesi), i loro prigionieri. Li mandavano letteralmente all’altro mondo, un po’ come se oggi spedissimo i detenuti sulla luna. Per questo anche ora si ritrovano in quelle regioni lontane i ricordi di quella che qualcuno ha definito la più grande deportazione mai avvenuta di una “classe criminale”. Il sistema inglese non prevedeva la redenzione, ubbidiva solo ad una logica espulsiva e, quando in Inghilterra la costruzione di nuove carceri non fu più proponibile, cominciò (nel 1788) questa sorta di pulizia etnica. I malcapitati che sopravvivevano al viaggio trovavano ad accoglierli stabilimenti penali dal regime durissimo, in luoghi impervi, spesso circondati dal mare e nei quali neanche la speranza di fuga poteva sollevarli. Alcuni dei più noti penitenziari (Macquarie Harbour, p. es.) erano situati in Tasmania, isola a sud del continente australe.