di Roberto Cresti
Come abbiamo accennato nel precedente articolo, il Vico di Montone venne abbandonato nel corso del XII secolo. La valle rimase un ampio spazio coltivato e non urbanizzato fino all’inizio del Trecento, come prova anche la “Tavola delle Possessioni”, antesignana dell’attuale Catasto, che tra il 1316 e il 1320 non annota né un popolo né edifici qui presenti. Il consistente ampliamento urbano registrato in quei tre secoli, infatti, si concentrò quasi esclusivamente sui crinali delle colline, lasciando vuote le vallate, e soprattutto venne calamitato dal percorso della via Francigena. Nella parte meridionale della città, in particolare, interessò le strade di Pantaneto e Porrione, estendendosi poi verso Salicotto. Anche l’individuazione del “Campus fori” come luogo dove ospitare alcuni edifici pubblici di rilievo per il Comune cittadino, come la Dogana e il “Bolgano” (la Zecca), avvenuta tra la seconda metà del XII e l’inizio del XIII secolo, contribuì non poco a mutare l’impianto insediativo preesistente. In particolare, la strada che collegava il cuore della città con la Valdimontone e il “vicus”, citata in più documenti del XII secolo, dovette essere interclusa dalla costruzione di questi edifici comunali, ed è probabile che da allora sia stata utilizzata prevalentemente per il trasporto di alcune materie prime, come ad esempio il metallo diretto alla Zecca. Il resto del “traffico” che passava per Siena era interamente indirizzato sulla Francigena, e ciò dovette favorire l’abbandono del villaggio e della nostra valle.
Dopo il 1320, tuttavia, la situazione cambiò radicalmente. La città stava vivendo l’apice del suo sviluppo economico, fattore che attirò inevitabilmente molta gente dal contado e dai centri limitrofi. Ancor più dal 1329, quando il Comune favorì l’inurbamento con una modifica del sistema di tassazione dei nuovi cittadini, introducendo un criterio di tipo progressivo senz’altro più vantaggioso per i ceti meno abbienti. Un flusso in costante incremento che andava in qualche modo regolamentato e gestito, individuando zone vergini dove poter costruire i borghi che avrebbero ospitato i “neo-senesi”. E la Valdimontone, considerata la sua vastità e centralità, poteva soddisfare per molti anni tale esigenza. Così nel maggio del 1324 il Comune di Siena deliberò che tutti i cittadini allirati negli ultimi sedici anni (ossia che avevano ottenuto la cittadinanza senese), e quelli che lo sarebbero stati da quel momento in avanti, dovevano andare ad abitare proprio nella Valdimontone, in un borgo di nuova costituzione che prese il nome di Santa Maria. Il Comune, dunque, con enorme lungimiranza, subordinò la concessione della cittadinanza alla costruzione di case dove i “neo-senesi” avrebbero potuto dimorare; fra gli altri requisiti indispensabili c’era pure il possesso di un lavoro sicuro. Inoltre venne stabilito che le abitazioni erette nel borgo dovevano avere un valore non inferiore alle 100 lire; dovevano essere, dunque, più che dignitose.
I lavori per la realizzazione del borgo di Santa Maria ebbero inizio immediatamente: nel giugno di quello stesso anno si procedette all’espropriazione dei terreni necessari all’esecuzione della strada lungo cui edificare le case, altro esempio di attenta programmazione. Il proprietario del terreno, Leoncino di Squarcialeone Maconi, ottenne un indennizzo di 90 lire, 2 soldi e 2 denari, ma fu solo il primo di tanti espropri e acquisti necessari per la formazione del borgo. Molti dei terreni erano di proprietà della chiesa di San Martino, che li vendette al Comune tra il 1324 e il 1325 al prezzo di 500 lire; le prime abitazioni vennero edificate proprio su questa vasta striscia di terreno a lato della strada, che iniziava all’esterno della vecchia porta di Valdimontone (ubicata più o meno all’incrocio tra via del Sole e via di porta Giustizia) e si inoltrava nella valle. Si trattò di una vera e propria lottizzazione studiata a tavolino, affatto diversa da quelle dei giorni nostri: sul terreno erano già stati disegnati i vari appezzamenti, contigui l’uno con l’altro e addirittura numerati.
Per portare solo un esempio, ser Domenico di Accorso possedeva una casa che confinava da un lato con il lotto di terra n. 38, dall’altro con quello n. 40 e di fronte con la strada. Lo sforzo finanziario profuso per la realizzazione del borgo fu grande: nel solo biennio 1324-25 il Comune investì ben 942 lire e 2 denari, somma comprensiva di espropri, acquisti, salari pagati agli operai e attrezzature per la realizzazione della strada. I lavori andarono avanti con incredibile celerità e l’insediamento divenne subito vitale, ricco di attività artigianali e densamente popolato, come dimostra anche una deliberazione del Consiglio generale, risalente al 1332, dove venne annotato che vi abitavano tante persone (“nunc habitant plurimi boni viri”). Nel giro di pochi anni, dunque, il borgo nuovo di Santa Maria era diventato un vero e proprio pezzo di città.
Di lì a poco, tuttavia, la situazione sarebbe mutata improvvisamente.