di Roberto Cresti
Ai primi del Quattrocento l’efferatezza e la frequenza delle condanne capitali, praticate quasi sempre mediante la decapitazione, cominciarono a diventare un serio problema. In particolare, i mutamenti politici del 1403-04 e l’esclusione del Monte dei Dodici dal governo cittadino, i cui componenti, con rarissime eccezioni, vennero perseguitati in ogni modo, anche i più atroci, alimentarono una tensione interna insopportabile, che durò per diversi decenni. Si può, forse, cogliere la gravità della situazione nelle parole del cronista Tommaso di Paolo Montauri, che annotando l’ennesima pena capitale, inflitta nel dicembre del 1426 a Cristofano di Giacomo dei Griffoli, reo di aver complottato con un dodicino in esilio, scrisse: “lette le condenagioni si levò alquante romore […] le butighe di trato si serorno, ognuno corse a l’arme, e fuvi di quelli che inbratorne le brache per paura”. Il clima irrespirabile di quegli anni era tale che anche san Bernardino, in almeno tre delle quarantacinque prediche tenute nel Campo tra il 15 agosto e il 30 settembre del 1427, la X, XI e XII, insistette sui passi evangelici che preconizzavano il crollo dei regni a causa della discordia umana, e si scagliò contro le “maledette divisioni” che “distrugono le città”, gridando “guai, guai, guai, a chi abita in terra divisa; e chi v’abita è come cieco e sordo”. Un potente appello all’unità e alla concordia cittadina rimasto, tristemente, lettera morta.
Se il richiamo alla pacificazione interna fallì e le condanne a morte non diminuirono, più successo ebbero le esortazioni bernardiniane a favore dei carcerati e soprattutto dei giustiziati, ai quali si cercò di garantire, per quanto possibile, una fine dignitosa e il seppellimento in luogo consacrato. Proprio a tale scopo, tra l’altro, già due anni prima, nel 1425, era stata istituita anche a Siena la compagnia di san Giovanni Battista della Morte, seguendo l’esempio di Firenze e Bologna, elogiata e caldamente “consigliata” dallo stesso Bernardino in due sermoni sempre del 1427. Come quando, a conclusione della predica numero XLIII, pronunciò queste parole: “Io vi ricordo la vostra Compagnia de la Morte, che per l’amore di Dio, voi non la lassiate venire meno. E non sia niuno che si vergogni d’èssarne, però che voi non avete considerato di quanta perfezione ella è. Non pensate voi, quando uno va a la giustizia, quanto conforto se gli dà: che forse, se non fusse quello, morrebbe disperato; e per l’aiuto loro, porta la morte pazientemente. Or siavi ricomandata per l’amore di Dio”. La raccomandazione, in effetti, dette i suoi frutti, visto che proprio quell’anno molti senesi aderirono alla confraternita laicale, che aveva sede in via Monna Agnese, presso la chiesa di San Niccolò in Sasso.
Appena fondata la compagnia, il primo atto concreto deciso dai confratelli andò subito nella direzione di rendere meno spettacolare e cruento il momento della decapitazione. A tal fine il 27 febbraio 1426 indirizzarono un’istanza al Consiglio generale con la quale chiedevano, oltre ad un sussidio di 50 lire all’anno, che venisse individuato un ambiente chiuso dove eseguire le pene capitali. Nel documento, in particolare, essi facevano notare che a Siena venivano comminate molte di queste condanne, “et maximamente di uomini poverissimi e abandonati che poi, dopo la morte loro, non si trova nessuna casa da poterli seppellire”; e siccome le “iustitie […] nella magiore parte si fanno con espargimento de sangue […]. Et facta la decta iustitia, et partitosi le genti [N.d.A.: che avevano assistito alla decapitazione], esso sangue è magnato da le fiere domestiche et salvatiche, senza nessuna colpa o difecto de’ detti delinquenti. Et per none essare mai stato proveduto, come arebbe meritato et meriterebbe si fatta materia, come è consueto in molte altre ciptà, et […] per tollere via tanto inconveniente”, supplicavano il Consiglio di “ordinare che si faccia uno tempio in luogo di iustitia deputato solamente ad quelli che commettaranno in modo de spargimento de sangue; el quale sarebbe bastevole d’otto braccia per ogni verso e alto circha sey braccia, secondo sonno ordinati gli altri dell’altre ciptà; nel quale luogo s’entra per chiave, et tucto el popolo può molto meglio vedere le decte iustitie, la quale spesa potrà ascendere a la somma di fiorini cento vel circha”. La richiesta dei confratelli fu approvata con 163 voti favorevoli contro appena 18 contrari. Così di lì a poco fu eretto il “Tempio della Giustizia”, dove si potevano eseguire le decapitazioni in un luogo chiuso, più appartato e con minore spargimento di sangue, certamente già in uso nel 1432, quando l’11 agosto “fu tagliata la testa a Jacomo da Milano al tenpio”, come narra il cronista Tommaso Fecini. E per non spostarsi troppo dalla zona dove esse venivano praticate da anni, questa stanza fu edificata sulla parte esterna di porta Giustizia, ormai serrata da tempo e pressoché inutilizzata, e a diretto contatto con la medesima. Si venne così a costituire una sorta di antemurale, al quale si accedeva da entrambi i lati, in modo da consentire il passaggio oltre la cinta muraria. Come mostra nitidamente la veduta di Siena disegnata da Francesco Vanni intorno al 1595, esso era chiuso anche nella parte alta, e dalla copertura spuntavano due lunghe canne fumarie, o almeno così sembra di poterle interpretare; forse il locale veniva riscaldato e magari era necessario anche aerarlo.
Proprio al “Tempio della Giustizia”, ancora in fase di realizzazione, Bernardino dedicò un altro pensiero quasi al termine dell’ultima predica, la numero XLV, tenuta in Piazza il 30 settembre 1427: “Anco vi vo’ ricordare che voi rileviate su la compagnia della Morte. Oh, se voi pensaste quanto ella è salutifera cosa per l’anime di quelli che so’ giustiziati per lo Comuno! Se tu vi pensi un poco, tu dirai che sia vero. Io odo che voi fate qua giù fuore della porta, uno bello tempio perché il sangue di chi se li taglia il capo non sia sparto, e che se ’l lechino i cani. Dico che voi fate molto bene: odo che voi l’avete commiato; al bene è da confortarvi”.
Anche stavolta, però, le parole del santo non ebbero gran seguito, e il Tempio dovette essere utilizzato con minor frequenza di quella che aveva auspicato, come appureremo nel prossimo appuntamento.