di Roberto Cresti
Negli appuntamenti precedenti abbiamo ripercorso le innumerevoli ipotesi che nel corso dei secoli si sono succedute con riguardo alla derivazione del toponimo “Montone”. Nell’ultimo, in particolare, è stata presentata quella secondo cui sarebbe stato un nome di persona assai diffuso nella consorteria Piccolomini, che possedendo un’ampia concentrazione di proprietà immobiliare e fondiaria in questa zona della città, avrebbe finito per “prestarglielo”, andando ad indicare il “castrum” e la sottostante vallata. A tal proposito, tuttavia, va fatta una precisazione, soprattutto se si pensa ai molti personaggi che nella documentazione senese compresa tra l’XI e gli inizi del XIII secolo vengono qualificati come “de Montone”: sembra plausibile che quest’ultimo nome, menzionato per la prima volta nel 1043, dunque assai precocemente, designasse un luogo prossimo alla “civitas” altomedievale, e non una persona fisica. Alla luce di ciò, non sarebbe stato un capostipite dei Piccolomini a cedere il suo nome all’area dove abitava e possedeva le proprie terre, ma piuttosto il contrario: qualche avo della famiglia fu chiamato con la stessa denominazione del luogo di residenza. “Montone”, insomma, sarebbe stato sin dalle origini un toponimo e non un antroponimo.
Se ciò è vero, però, siamo tornati al punto di partenza, ossia: da dove deriva questo enigmatico nome? Un’attenta analisi dei documenti d’archivio fa propendere per l’idea che provenga dall’espressione latina “magnus mons”. Il “Montone”, quindi, non sarebbe l’ariete, né un nome di persona, ma l’altura più pronunciata della zona, un “grande monte” per l’appunto, indicando semplicemente una caratteristica di quel territorio. Un’ipotesi che non deve far storcere la bocca, né tanto meno apparire incongruente rispetto all’altitudine appena collinare del poggio di Montone, perché anzi nella toponomastica italiana tale vocabolo ricorre di frequente ad identificare, contrariamente a quanto esso lascerebbe intendere, proprio un rilievo di modesta entità.
Già prospettata da Bartolomeo Benvoglienti alla fine del Quattrocento e poi ripresa da Giugurta Tommasi, la tesi suesposta fu ripresa da Fabio Bargagli Petrucci all’inizio del Novecento, nella monumentale storia delle fonti e dei bottini senesi, il quale la rinvigorì notando che l’uso di volgarizzare l’espressione latina “magnus mons” con il termine “montone” era effettivamente verificabile almeno in un altro caso. Per l’esattezza nel Constituto del 1262 (rubrica CCIII della III distinzione), dove parlando di vene da derivare in una fonte posta fuori della porta di Monteguaitano, quest’ultimo toponimo viene scritto “Montone Guaitano”; e non per errore del notaio, ma perché “monte” e “montone” erano di fatto sinonimi. Una spiegazione che appare plausibile anche alla luce del documento del 1043, perché il “fossato sotto al Montone” sembra un evidente riferimento alla collina dominante la valle. Così come possiamo cogliere un’ulteriore conferma in un documento del 1205, stipulato nella vigna dell’allora podestà di Siena Bartolommeo di Rainaldino, la quale era situata “iusta Montonem”, perciò in prossimità dell’altura che dava il nome a tutta l’area circostante.
Chiarita, alla fine, la provenienza del toponimo che anticamente indicava l’Orto de’ Pecci, dalla prossima puntata cominceremo a parlare di alcune strutture lì esistenti nel Medioevo, e in particolare di una fonte e di una chiesa.