di Roberto Cresti
Tra le molte ipotesi che sono state formulate per spiegare la derivazione del nome “Montone”, quella forse più nota rimanda alla consorteria Piccolomini. Già Orlando Malavolti nella Historia di Siena, elaborata nella seconda metà del XVI secolo e data alle stampe nel 1599, scrive che l’origine dell’ “antichissima” famiglia dei Piccolomini derivava da Bacco di Piccolomo, signore del castello di Montone al tempo dal re etrusco Porsenna, che proprio su richiesta di quest’ultimo era intervenuto con duecento fanti e cinquanta cavalli a sostegno di Tarquinio il Superbo, quando questi, cacciato da Roma, tentò di restaurare il suo regno sulla città. Anch’essa, ovviamente, è solo una leggenda, che presumibilmente si formò dopo la metà del Quattrocento nell’ambiente cortigiano che ruotava intorno alla figura di Enea Silvio Piccolomini, per poi essere divulgata in forma scritta nei due secoli seguenti. Lo scopo principale era quello di ancorare saldamente a Roma le origini della famiglia, che solo in un secondo momento si sarebbe trasferita a Siena. Così fu inaugurata una prassi che troverà ampio seguito in altre consorterie magnatizie: quella di far compilare da eruditi legati alla cerchia dei Piccolomini memorie familiari dove fatti storici ed elementi fantastici, inseriti a scopo apologetico e dimostrativo, erano strettamente intrecciati tra di loro. Se è evidente, infatti, che la figura di Bacco di Piccolomo, signore di quel castello di Montone che solo molto più tardi si troverà citato nella documentazione archivistica, fu inserita con l’unico intento di comprovare le valorose origini della famiglia, che si perdevano nella notte dei tempi, va tuttavia sottolineato che il legame fra i Piccolomini e il territorio prossimo alle nostra valle e all’area dei Servi, è autentico e ha radici molto solide. Anzi dalla documentazione in nostro possesso si evince che i più antichi membri del casato, testimoniati a partire dalla seconda metà del XII secolo, avevano la propria dimora proprio in questa zona, tanto da qualificarsi come “de Montone”. Ad esempio, un atto di compravendita del 14 luglio 1165 cita un tal “Guidolino de Montone” e, tra i testimoni che lo convalidarono, “Piccolomo de Montone”; Guidolino, peraltro, è rintracciabile anche in una carta del 1173 dove si parla della commenda gerosolimitana di San Leonardo, situata proprio sotto il poggio dei Servi. Nel 1168, invece, in occasione della liberazione di uno schiavo domestico avvenuta proprio “in castello Montonis”, compaiono come testi dell’atto un “Montone medico”, un “Rainerio quondam Montoni” e i fratelli “Ordelaffo et Martino Montoni”. A proposito di Ranieri di Montone, nel 1178 fu console del Comune senese, stesso incarico che nel 1170 aveva ricoperto pure Rustichino di Piccolomo, probabilmente figlio del primo personaggio menzionato. Con più cautela, invece, è da considerarsi come membro della famiglia quel Rustichino di Orlando che fu console nel 1176 e nel 1195. Infine, è da ricordare che intorno al 1213, appena fuori porta San Maurizio, su un terreno in parte di sua proprietà, Ranieri di Rustichino, forse figlio di Rustichino di Piccolomo, fondò la chiesa e ospedale di Santa Maria Maddalena, che si ubicava approssimativamente dove oggi sorgono Palazzo Bianchi e il parco annesso. Un legame con il territorio “de Montone” che trova ulteriore conferma nel fatto che l’animale divenne anche un simbolo araldico del ramo Todeschini. Infatti gli arpioni da cavallo (al piano terra) e da tenda (al piano primo) ancora oggi presenti in gran numero nei prospetti su Banchi di sotto e sul Chiasso Largo del palazzo di famiglia, costruito da Giacomo e Andrea Todeschini Piccolomini tra il 1469 e il 1510, raffigurano un montone che sorregge una campanella realizzata sotto forma di crescente (mezzaluna), altra figura araldica tipica della consorteria.
Furono, dunque, i Piccolomini a prestare il nome al castello e alla valle sottostante? Lo scopriremo nella prossima puntata.