di Andrea Friscelli
A aveva percorso tutta la strada in discesa ed ora era lì davanti a quella barriera di legno e provò, con un po’ di timore, a gettare uno sguardo aldilà. Il cancello era rimasto chiuso e nessuno era più entrato laggiù ormai da mesi. Gli animali (le capre, il ciuchino, le papere, i pavoni) non si vedevano – e pensò – o erano scappati o erano morti, l’erba aveva sommerso tutto. I rampicanti avevano invaso dove avevano potuto, lì dove c’era il ristorante ed il gazebo era diventato un’unica piccola montagnola di verde. Tutto si era come congelato in un degrado che avanzava ogni giorno di più. Allora ripensò con angoscia che quando c’era stata la parziale riapertura qualcuno era tornato, sì, ma con minor entusiasmo di prima. Poi però quando tutto era ripreso con maggior vigore si era creato il vuoto, anche per il semplice fatto che molti erano morti. Se per un certo periodo un focherello di speranza era rimasto vivo, dopo la ripresa di ottobre tutto si era spento davvero e l’Orto de’ Pecci, come tante altre cose in città, era morto.
A quel punto A si svegliò, tutto sudato e spaventato. Ci mise un po’ a rendersi conto che aveva fatto un incubo ed a ricordarsi che la realtà era sì brutta ma ancora non a quel punto. Ormai era sveglio e sapeva per esperienza che non sarebbe stato facile riaddormentarsi. In quei casi gli capitava di pensare e rimuginare sempre sulle stesse idee. E quello che pensò e ripensò in quella nottata insonne era il destino dell’Orto che quel sogno gli aveva presentato in modo tragico. E poi rifletteva sui perché di quel dramma ed i pensieri non erano tanto diversi da quello che andava facendo anche da sveglio in quei giorni di quarantena. Sentiva crescere dentro l’idea che attraverso quella catastrofe la natura si stava riprendendo tutto come se si fosse stancata di tante chiacchiere inutili degli umani, ed avesse deciso di dare lei una svolta definitiva per riportare la situazione in asse. Ed effettivamente già qualche segno nelle varie megalopoli si vedeva: i cieli erano tornati limpidi, lo smog calava e forse a lungo andare chissà anche le stagioni sarebbero tornate a posto, il freddo ed il caldo secondo, appunto, la natura.
Un altro pensiero poi seguiva questi come un vagone dietro ad una locomotiva. Gli veniva da considerare il fatto che forse quella piccola porzione di natura che risiedeva all’Orto aveva scovato, nella sua secolare memoria, un ricordo che la guidava, quasi la rassicurava. Anche qualche secolo prima si era ripresa tutto lo spazio, quel suo spazio che un nascente quartiere della grande Siena con tutti i suoi ammennicoli si stava mangiando.
E poi dopo tutto era tornato placido e tranquillo in quello spicchio di mondo.
Gli uomini anche allora avevano pensato di impadronirsi di tutto ma non avevano capito che la vera padrona era lei: la natura che insieme al caso si contendeva il potere sbaragliando i progetti di quei minuscoli presuntuosi.
Questa volta si era servita di quel microscopico essere ma anche la volta prima, si ricordava la natura dell’Orto, aveva utilizzato un mezzo simile. In fondo – A. pensò – la natura è saggia e sa che basterà far passare un po’ di tempo e poi qualcosa germoglierà di nuovo e magari allora chi ci sarà avrà del tempo per correggere gli sbagli che noi uomini di oggi abbiamo fatto.
Poi il cielo schiarì, la nottata era passata e A., stranamente, si sentiva bene e pieno di energie. Pensò quasi che il sogno fosse stato un avvertimento che le sue ansie interiori gli avessero mandato e che bisognava serrare le file e fare di tutto perché non si avverasse.