di Andrea Friscelli
Grazie pertanto a Peris Brogi, ma anche a Duccio Balestracci, a Flavio Mocenni, tutti diventati consiglieri del nostro Cda e tutti in grado, insieme ad altri presenti fin da prima (come Massimo Cerretani e la povera Rosalba Aldrovandi) di portare un valore aggiunto in termini di conoscenze ed idee, decollò la fase più entusiasmante della nostra vita che ci ha portato ad essere quello che siamo, o forse meglio, siamo stati: una realtà medio piccola nel panorama aziendale senese, ma con l’ambizione di essere bene organizzata e soprattutto di non perdere mai di vista i nostri scopi primari: offrire uno spazio privilegiato di lavoro e di sviluppo a persone fragili, con storie difficili alle spalle, con identità incerte o confuse. È stato proprio riflettendo su questo tema che ha preso corpo l’ultimo (o penultimo, come vedremo) logo con cui anche oggi ci presentiamo e di cui parlerò tra poche righe.
Tra le tendenze più positive di quegli anni vediamo, dopo una fase di vorticoso turn over nella nostra pianta organica, il consolidarsi di alcune presenze all’interno, segno che piano piano si è selezionata una classe di persone motivate e partecipi dei valori e delle scelte. Voglio citare Gianni Passaniti, Maura Martellucci, Paola Calefato, Silvia De Carolis, Ignazio Alotto e tanti altri che, sia pure nella differenza dei ruoli ricoperti, sono stati tutti “arruolati” agli interessi della cooperativa che non è più, dunque, una organizzazione tipo “one man show”, ma è sempre più diventata una organizzazione vissuta e partecipata dai soci.
In tal senso una spinta è venuta anche dal percorso di certificazione etica (la SA8000 ottenuta nel 2003) che ci costrinse a fare i conti con le nostre contraddizioni ed a riflettere di più sulle procedure interne. Il costo per il mantenimento della certificazione e il nessun merito riconosciuto dalle istituzioni per chi l’aveva ottenuta ci hanno costretto dopo qualche anno ad abbandonarla. In seguito, è venuto il Bilancio Sociale come espressione più consona a descrivere le nostre attività, non riassunte solo dai numeri di un normale bilancio consuntivo. Inoltre, sempre più forte è diventato il legame con l’orto de’ Pecci di cui siamo diventati i legittimi affittuari con un contratto stipulato direttamente con le Pie Disposizioni (senza più il tramite della Asl) e sul quale insistono molte delle nostre attività più “care” e che inoltre rappresentavano la quota di nostra imprenditorialità (circa il 23 % dell’intero fatturato) rispetto agli appalti pubblici.
Tutto ciò si riflette nell’ulteriore cambiamento del nostro logo (fatto dal grafico Paolo Rubei) e che sintetizza molta della nostra storia mettendo in luce il legame (forse a qualcuno sfuggito) tra cooperativa La Proposta e Orto de’ Pecci e riportando al centro delle nostre attività il principale scopo riabilitativo raffigurato nelle tre sagome che da confuse diventano nitide e precise. È un buon mix di “tradizione” e di novità, è infatti ancora presente l’esile segno del logo precedente ma si aggiungono le tre sagome che risalendo verso la Torre diventano sempre più nitide e anche il segno circolare in cui è inserita la scritta Orto de’ Pecci dà un senso di unione e contenimento. Inoltre, faccio notare che i colori prevalenti, anzi gli unici presenti, sono il verde e il blu, da cui scaturirà poi anche il titolo del nostro giornale prima e blog poi. Insomma, l’attuale marchio è un insieme di segni molto pensati e di cui forse è difficile cogliere ogni sfumatura, ma che, lasciatemi dire, ci piace molto.
Parlavo, forse creando un pizzico di sconcerto, di un ultimissimo logo perché ad un certo punto si è ritenuto necessario dotare il ristorante di un suo proprio marchio, una sorta di biglietto da visita con i vari nostri recapiti. Mi riservo la descrizione di quest’ultimo per la puntata finale, insieme a qualche riflessione più generale sull’attualità.
Tutto il periodo che rientra in questa fase si svolge prima della crisi economica e gli anni che gli appartengono (diciamo dal 2001 fino al 2009 circa) sono stati i più floridi della nostra piccola storia. Alcune soglie, più che altro psicologiche, sono state varcate e superate, come per esempio quella del milione di euro di fatturato e di una pianta organica che superava largamente i 40 dipendenti.
A mio parere una dimensione da non superare per riuscire a mantenere rapporti sani e familiari all’interno. Ho sempre visto cioè il rischio che oltre certe dimensioni tutto (o molto) diventasse burocrazia a scapito della reciproca conoscenza. So di sfidare alcuni dogmi di tipo economico, come quello che sostiene che una azienda o cresce o viene prima o poi “mangiata” da qualche altro, ma forse il fatto è che noi non siamo una “vera” azienda e chi si è fatto sedurre da quest’idea ha spesso fatto una brutta fine. Dico sempre che la nostra cooperativa sta ritta su due gambe: la prima è una appropriata cultura aziendale che non miri al profitto ma alla sostenibilità, la seconda fa invece riferimento ad una cultura di accoglienza ed ascolto delle differenze e del disagio di qualunque tipo esso sia. Le due gambe devono avere la stessa importanza, pena una zoppia che potrebbe farci cadere. Fuor di metafora voglio sostenere che questo equilibrio (difficile e da curare con costanza ed assiduità) lo si riesce a mantenere meglio se le dimensioni non sono mastodontiche.
E del resto piccoli non vuol dire banali ed è per questo che nel corso di questi anni si è molto sviluppato un metodo di promozione delle nostre attività (soprattutto di quelle che si svolgono all’orto) che ha sempre puntato su una miscela ben dosata di cultura, di semplicità e di stabilità. Per questo nel corso degli anni si sono organizzati tanti eventi in cui abbiamo parlato di gastronomia, di musica, di letteratura, di psichiatria, di sport, di folklore, di medicina e di tanto altro. Il format è stato spesso quello di una cena nel corso della quale l’esperto di turno raccontava, magari in più riprese, l’argomento che era stato chiamato a trattare. Accanto a questa modalità se ne sono poi sviluppate anche altre, come le presentazioni di libri, piccoli convegni e manifestazioni. Tutto ciò ha permesso all’Orto de’ Pecci di risalire da una situazione di isolamento e di scarsa conoscenza che era estesa perfino in città ed il risultato è stato quello di poter dire che alla fine di quel periodo ed ai giorni nostri ormai il nostro marchio è conosciuto ed apprezzato a Siena e non solo.
Nel contempo però, all’orizzonte ci sono già i segni della crisi e di come si abbatterà su di noi negli anni Dieci del nuovo millennio.