di Andrea Friscelli
Voglio cominciare la serie dei racconti sulle persone che sono transitate nell’esperienza cooperativa con un caso che è finito male. Ogni volta che lo ricordo sento dentro di me un rincrescimento che non deriva tanto dal senso di colpa di aver sbagliato qualcosa di grosso, ma è come se tutta una serie di piccoli errori, non tutti nostri per la verità, si fossero assommati congiurando contro di lui e non lasciandogli scampo. Anche la non sufficiente coordinazione tra le istituzioni che si sono occupate del suo caso ha avuto un’importanza (negativa!) notevole.
È la storia di Sergio, (il nome è di comodo) tossicodipendente di trent’anni circa, proveniente da una famiglia disastrata: madre dotata di una personalità passiva ma in sostanza unico sostegno di una famiglia con tre figli, di cui Sergio è il più piccolo. Il padre, infatti, si è volatilizzato dopo la sua nascita; un fratello, il mediano, si è suicidato, anche lui con problemi di tossicodipendenza.
Sergio è inoltre portatore di un importante deficit acustico (90 % di sordità) che ne ha condizionato lo sviluppo della personalità, caratterizzandola con elementi di rabbia aggressiva sullo sfondo paranoico, spesso tipico dei non udenti, un mix di notevole pericolosità e di difficile gestione. Sergio è inviato una prima volta presso di noi qualcosa come venticinque anni fa.
Giungeva da un’interminabile serie di esperienze negative che l’avevano portato alla ribalta della piccola cronaca nera locale, certo non creandogli un’immagine positiva in città. Il suo handicap acustico lo poneva spesso in una situazione d’isolamento e nella condizione di doversi accontentare di capire poco le parole dette intorno a lui. Questo a dispetto di un’intelligenza vivace, anche se primitiva, che spesso gli consentiva di capire a volo situazioni e persone e di utilizzare una sua forma di scaltrezza, purtroppo quasi mai a fini positivi.
L’aspetto di Sergio in qualche momento ricordava quello di un furetto e come quell’animaletto era rapido e mutevole nelle sue espressioni.
Il primo periodo del suo inserimento, che durò solo qualche mese, cominciò con un atteggiamento reciprocamente guardingo.
Incapace di “fare squadra”, con la tendenza a stare sempre da solo, era però bravo a lavorare sia per impegno che per capacità. Quando si sciolse di più, acquisendo maggiore confidenza con l’ambiente, si segnalò purtroppo per i terribili “scherzi” che era solito fare ai colleghi (mettere lo zucchero nel serbatoio del motorino – piccoli furtarelli, ecc.), che naturalmente lo isolavano ancora di più. Eppure, dentro di lui esisteva una parte tenera e quasi affettuosa che riusciva ad esprimere solo nei confronti degli animali. Un episodio di simile tenore caratterizzò la fine del suo primo periodo presso la nostra cooperativa. A quei tempi avevamo una vasca per l’allevamento delle trote che doveva essere ossigenata con una pompa ad intervalli precisi, anche durante la notte. Ma una notte successe che la pompa andò in blocco e tutte le trote morirono. Sergio fu così dispiaciuto di questo fatto che da quel momento cambiò il suo atteggiamento verso la struttura, verso di noi. Ci incolpava di aver agito male e ne ricavò la convinzione che non fossimo affidabili.
“Ma perché – ci chiedeva continuamente – avete fatto morire tutti i pesci?”
Non ci furono spiegazioni che lo convinsero e divenne sempre più ribelle verso di noi.
Questo movimento di sfiducia, rimbalzando tra il mondo esterno ed il suo mondo interno, si risolse in una nuova sequela di atti delinquenziali che ne segnarono il destino per diversi anni.
Quando è tornato alla Proposta per il secondo periodo, (aveva ormai superato i trentacinque anni) inviato dai servizi sociali del carcere, per ovvi motivi eravamo tutti doppiamente cauti nei suoi confronti. Poi notai un suo spiccato interesse per il computer che si mangiava con gli occhi quando veniva in ufficio e così riuscii a procuragliene uno di seconda mano con cui a casa si divertiva molto a fare soprattutto solitari di carte, di cui anche io sono appassionato. Così spesso ci scambiavamo pareri, esperienze e consigli di gioco. Sentivo che mi rispettava e che si era creato un buon rapporto.
Inoltre aveva particolarmente legato con il capo ortolano che, per la sua età, rappresentava la figura paterna che non aveva mai avuto. Con lui lavorava con profitto, imparando sempre nuove tecniche di giardinaggio come la potatura delle siepi, meritandosi tra l’altro un’assunzione a tempo indeterminato. Con lui costituiva ormai una coppia fissa che qualche volta si contrapponeva, non sempre positivamente per la verità, al lavoro degli altri, che riteneva meno capaci e più svogliati di lui. Per un lungo periodo ha lavorato seriamente e con profitto sia nel settore dell’orto che in quello della raccolta differenziata, finché le cose inaspettatamente hanno ripreso un corso negativo.
Tutti in cooperativa, dieci mesi prima dell’epilogo, si erano accorti che Sergio era di nuovo ricaduto in una situazione di dipendenza tossica che si ostinava a negare anche contro l’evidenza. Rimase sempre contrario ai nostri inviti (che forse potevano essere – ripensandoci adesso – anche più stringenti) di riprendere contatti con il Sert.
Un sabato mattina si era presentato in condizioni spaventose al lavoro, che sentiva sempre e comunque come un impegno, e per questo, oltre al fatto che l’attività che lo vedeva impegnato quella mattina era stata improvvisamente ed imprevedibilmente sospesa, era stato rimproverato e pregato di ripresentarsi in condizioni migliori lunedì.
Dopo poche ore, abbandonato all’improvviso in un tempo disperatamente vuoto, aveva messo le mani in un’auto incustodita prelevando il portafoglio del proprietario che stava tornando in quel mentre. Sergio aveva provato a restituirlo senza scappare e chiedendo scusa. Ma dal suo comportamento, certamente discutibile, il proprietario del portafoglio non si era lasciato intenerire e la sua denuncia era stata sufficiente a rimettere in moto il meccanismo giudiziario con un processo per direttissima ed una condanna a 10 mesi di carcere, tutti da scontare.
In seguito dal carcere giungevano notizie di una sua preoccupazione per il posto di lavoro, forse pensava di non meritarsi più quell’opportunità che per qualche anno gli aveva consentito di vivere con un pizzico di maggior ordine e benessere.
Da allora non l’ho più visto.
La notizia della morte di Sergio mi è giunta proprio al culmine del periodo in cui stavo pensando a come utilizzarlo di nuovo nelle nostre attività. L’overdose si è verificata, infatti, lo stesso sabato in cui era uscito dal carcere (ma perché liberare uno con i suoi problemi proprio il sabato? – mi sono sempre chiesto).
Il lunedì successivo lo attendevamo in cooperativa per riprendere il lavoro.