di Roberto Cresti
Come abbiamo visto nell’articolo precedente, sin dalla fine del XIII secolo il Comune di Siena aveva innalzato i patiboli per le condanne capitali nella zona della Coroncina, in un luogo che da allora assunse la denominazione di “Poggio delle Forche”. Alcuni anni più tardi questi furono al centro di un episodio poco conosciuto, su cui vale la pena soffermarsi. A raccontarlo è il cronista Neri di Donato, ripreso nel Cinquecento dagli storici Orlando Malavolti e Giugurta Tommasi.
Tutto ebbe inizio alla fine del 1357, quando l’esercito perugino occupò Cortona e il suo territorio. Per liberarsi dalla morsa di questo improvviso assedio, Bartolomeo Casali, signore di quella cittadina, chiamò in soccorso i senesi, che subito inviarono un contingente militare comandato dal capitano di ventura Anichino di Bongardo. Teatro dello scontro fu la zona di Torrita, ma dopo una prima vittoria senese, nell’aprile del 1358 i perugini ebbero la meglio, tanto da inseguire il nemico in rotta fino alle porte di Siena. Durante la precipitosa fuga, le truppe senesi persero ben 400 prigionieri, 49 stendardi e l’insegna imperiale che Carlo IV aveva donato al Comune qualche anno prima. L’episodio viene così narrato da Neri di Donato: “li Perugini co’ loro gente e sforzo cavalcoro sul contado di Siena, ardendo e guastando ciò che poteano, e pigliavano prigioni e uccideano e faceano gran danno”. Oltrepassato Buonconvento, si avvicinarono pericolosamente alla città, tanto da accamparsi proprio “a le forche di Pecorile presso a Siena a uno miglio”, dove “guastaro le dette forche, e portorne le catene di dette forche, le quali catene erano a traverso su le more de le forche in luogho di pertiche, e ine s’apicavano i malfattori; e così li scoridori venero in fino a presso le porti di Siena”. I senesi, tuttavia, si accorsero della manovra di avvicinamento, e dopo aver armato “tutto il popolo”, uscirono dalla città per allontanare i perugini. Non fu necessario neppure combattere: i nemici, infatti, udite le campane che adunavano l’esercito, si dettero alla fuga, trucidando una buona parte dei 36 prigionieri che avevano catturato. Né questi malcapitati costituirono l’unico trofeo di guerra di cui vollero vantarsi, perché con sé portarono anche “le dette catene le quali attacoro di fuore de le finestre del podestà a capo la porta; e parbe loro avere fatto le lor vendette, poiché ne portaro le catene de le forche di Pecorile, che con festa entraro in Perugia”.
A dar credito al racconto del cronista senese, dunque, le catene e le sbarre che ancora oggi pendono dalle due grosse mensole poste sopra il portale del Palazzo dei Priori a Perugia, dalla parte di piazza IV Novembre, sulle quali poggiano le statue in bronzo rappresentanti il leone guelfo e il grifo perugino, sarebbero quelle asportate dalle forche della Coroncina. Molti testi anche recenti, invece, riportano che fossero state tolte dalle porte di Siena in occasione di quella medesima scorribanda, mentre Neri di Donato narra che i soldati perugini non riuscirono ad arrivare fino alle mura di Siena, ma solo ad avvicinarvisi. Una conferma della sua narrazione, tuttavia, arriva da una registrazione di Biccherna del 29 giugno 1359: esattamente un anno dopo i fatti, il Comune senese dovette spendere ben 70 lire e 18 soldi per il rifacimento delle forche di Pecorile, essendo stati abbattuti i pilastri che le sorreggevano e rimosse le catene su cui venivano impiccati i condannati.
Come abbiamo accennato nel precedente articolo, nel corso del Medioevo questo non fu l’unico luogo deputato alle condanne capitali, che venivano eseguite anche in città e ben più vicino all’Orto de’ Pecci; di questo, però, parleremo nel prossimo appuntamento.