di Roberto Cresti
In uno dei precedenti appuntamenti si è visto che intorno alla metà del secolo XI una parte della Valdimontone, allora situata al di fuori della città, ospitava un insediamento abitativo di chiara matrice rurale (il “vicus de Montone”). Si trattava, d’altra parte, di uno dei luoghi più fertili e ricchi d’acqua intorno a Siena, elemento che dovette attrarre ben presto stanziamenti umani a vocazione agricola, specie considerando la difficoltà a reperirla in siti collocati ad altitudine maggiore. In effetti sin dall’atto del 1043, dove per la prima volta compare il toponimo, è ricordato un “fossato sotto il Montone” che doveva condurre o far defluire acqua attraverso la valle.
Per questa ragione in età medioevale sono qui documentate varie fonti, tra le quali la più importante fu sicuramente quella che prendeva il nome dal sito, la fonte di Valdimontone. In origine essa era di proprietà privata, e non è inverosimile ritenere che fosse stata a servizio del villaggio di Montone. All’inizio del Duecento, però, probabilmente in coincidenza con lo svilupparsi del rione di Malcucinato e Salicotto, fu acquistata dal Comune di Siena, che così la mise a disposizione della cittadinanza. L’atto di compravendita fu stipulato il 26 novembre 1221; il camerlengo di Biccherna Ildibrandino Bulgarini versò 12 lire ai suoi due proprietari Bastardo e Perone Bichi, che vendettero al Comune anche il terreno circostante per agevolarne l’accesso. Ormai diventata ad uso pubblico, a partire dal 1226 fu regolarmente custodita al pari delle più importanti della città. Molte sono le risorse finanziarie che il Comune investì sulla fonte di Valdimontone, tese specialmente a riparare i suoi bottini e possibilmente implementarne la portata, oltre che per mantenere la strada d’accesso in buono stato e realizzare un pettorale in legno attorno alla stessa. Particolarmente ingenti furono i lavori stabiliti nel 1293: 140 lire e 4 soldi vennero pagati per la nuova strada che la collegava alla porta Peruzzini (a capo di via del Sole), 25 lire per individuare altre vene da addurvi e portare così a compimento il bottino, e soprattutto 850 lire e 11 soldi, cifra assai ragguardevole, per la realizzazione della copertura a volte. Con quest’ultimo intervento la fonte di Valdimontone acquisì dignità anche da un punto di vista architettonico.
Purtroppo, come capitava di frequente per le fonti posizionate nei fondovalle (si pensi a quella di Follonica), anche la nostra cominciò ad interrarsi. Nel 1309 il bottino si ostruì e l’acqua non arrivava alla vasca; un grave stato di inefficienza che spinse il Comune a stanziare altre cospicue somme di denaro per le opere di restauro. Il problema era serio e con lo statuto del 1337-39 si deliberò di eleggere una commissione che studiasse le misure per renderla più funzionante, anche mutandole ubicazione se necessario, prevedendo un budget di spesa fino a 1.000 lire. Una scelta che non deve sorprendere: in quegli anni intorno all’antica fontana si era formato il borgo nuovo di Santa Maria e dunque quel punto di approvvigionamento idrico era diventato ancor più strategico e utile di prima. Il fatto, tuttavia, che la medesima deliberazione, con il solito stanziamento, sia ripetuta in statuti successivi, fa intendere che la sua traslazione non fu attuata, perlomeno non subito. L’abbandono del borgo, seguito alla peste del 1348, causò anche l’inevitabile declino della fonte, che nella prima metà del Quattrocento fu oggetto solo di piccoli interventi sui bottini. Nel 1441 si registra l’ultima spesa sostenuta dal Comune, dopodiché intorno alla metà del XV secolo l’Arte della Seta entrò in possesso della fonte e del terreno annesso.
Nel 1574 i consoli della Corporazione cedettero tutti i possedimenti nella Valdimontone ai frati di Santa Maria dei Servi, compresa naturalmente anche la fonte, a condizione che mantenessero essa e i suoi “condotti […] bene e diligentemente e netti, di sorte che vada più tosto migliorando che peggiorando”. In un manoscritto del 1707, conservato presso l’Archivio di Stato di Siena, è riportata la notizia che al suo interno si trovavano due pietre bianche. In una si vedevano a destra la Balzana, a sinistra il leone rampante senza corona e in mezzo l’arme dei frati Cistercensi di San Galgano (la spada fitta in un monte). Nell’altra, invece, erano due stemmi, uno della famiglia Sansedoni, che ancora ad inizio Ottocento era proprietaria dell’ampio appezzamento di terreno dove sorgeva la fonte, e il secondo con la formula S.A., ossia “Serice Artis” (Arte della Seta), e la data 1477.
Nella prossima puntata scopriremo cosa c’entrano i frati cistercensi con la fonte di Valdimontone e se all’Orto de’ Pecci esistono ancora dei resti della stessa.