di Roberto Cresti
La derivazione etimologica del toponimo “Montone” è assai controversa e nei secoli sono state formulate innumerevoli congetture nel tentativo di spiegarlo, alcune leggendarie, altre fantasiose o poco credibili, qualcuna storicamente più consistente. Tutte meritevoli, comunque, di essere passate in rassegna, e per far ciò dedicheremo più puntate a questo argomento, cercando di svelare l’arcano. L’inizio, però, vogliamo riservarlo al notissimo nucleo leggendario secondo cui Siena sarebbe stata fondata da Aschio, o Ascanio, e Senio, i mitici gemelli figli di Remo, fondatore di Roma insieme al fratello Romolo. Perché in questa favola quattrocentesca, che riscosse tanto successo popolare ed erudito, creando una filiazione diretta tra la capitale dell’Impero e Siena, si spiegherebbe anche il motivo per cui una parte della città porta ancora il nome di Montone o Montorio. La leggenda, che probabilmente riecheggiava una tradizione orale più antica, fu elaborata intorno agli anni settanta e ottanta del XV secolo, quando l’allora Arcivescovo Francesco Todeschini Piccolomini, nipote di Enea Silvio e futuro papa Pio III, sollecitò vari eruditi a comporre trattati sulle origini di Siena. Lo scopo era quello di controbattere alle astiose conclusioni cui erano giunti prima il fiorentino Giovanni Villani nella Cronica (1348), secondo cui sarebbe stata “un assai nuova città”, fondata appena nel 670 d. C. da Carlo Martello, e poi lo storico forlivese Flavio Biondo nell’Italia Illustrata (1453), a sentire il quale Siena avrebbe avuto un’origine “bassa e non molto lontana dai suoi tempi”. Entrambi erano “colpevoli”, insomma, di far risalire la città addirittura all’età alto-medievale. In difesa dell’onore senese e al fine di ribattere a tesi così inaccettabili, l’Arcivescovo pensò quindi di creare una mitologia ad hoc in chiave antichizzante, rivolgendosi alla élite letteraria gravitante intorno alla consorteria Piccolomini. In quegli anni, così, vennero redatti vari opuscoli che avevano lo scopo di nobilitare le origini senesi, finché intorno al 1488 Agostino Patrizi, sotto lo pseudonimo di Tisbo Colonnese, non scrisse la cronaca senz’altro più fortunata, facendo di Siena niente meno che la splendente erede della più pura e gloriosa tradizione romana. La narrazione è talmente nota che sarà sufficiente accennarla. Aschio e Senio, grazie all’intervento degli dei, sfuggirono dalle grinfie dello zio Romolo, intenzionato a riservare ai nipoti lo stesso trattamento del padre. A cavallo di due destrieri, “uno bianchissimo e uno nerissimo, forniti da battaglia”, dopo cinque interminabili giornate di cammino giunsero sulle rive di un torrente di nome Tressa, e sul monte vicino edificarono un tempio dedicato ad Apollo, dove custodire il sacrario della lupa capitolina trafugato allo zio. Qui si unirono ai boscaioli e ai mandriani autoctoni, che li elessero capi della comunità e li aiutarono a costruire “un forte castello”, nucleo primigenio di Siena, detto per questo Castelvecchio, o anche Castelsenio dal nome di uno dei fratelli. Romolo ovviamente non rimase inerte, anzi grandemente offeso per il furto sacrilego della lupa, incaricò due centurioni di rintracciarli. Uno di questi si chiamava Montorio, o Montonio, l’altro Camillo, o Camelio, i quali, una volta scovato il rifugio dei gemelli, eressero a loro volta due fortilizi in modo da accerchiare il Castelsenio, che ovviamente presero il loro nome. Montorio/Montonio, in particolare, avrebbe fondato il Castelmontorio sul colle dei Servi; il suo appellativo si estese anche alla vallata sottostante e più tardi passò ad identificare una delle Contrade senesi. Come andò a finire la storia, è ben noto: tra le due opposte fazioni scoppiò un conflitto di breve durata, terminato con la resa di Montorio e la pace siglata da Camelio. Questa, tuttavia, è solo una leggenda, come si è detto più volte. Da dove deriva, allora, il nome “Montone” già esistente a metà del secolo XI? Una prima, possibile, risposta la presenteremo la prossima settimana.