Sono debitore ai pochi o tanti lettori del Verdeblù di un paio di pezzi promessi qualche tempo fa a chiusura della serie sul ristorante sociale. Mi ero infatti impegnato a raccontare almeno qualche altra esperienza avuta con soggetti con problematiche psichiche inseriti nella nostra attività ristorativa.
Vorrei pertanto concludere questo ciclo di articoli con il sintetico racconto di due esperienze abbastanza lontane nel tempo. Il primo racconto, quello di oggi, infatti fa riferimento ai primordi della nostra attività e riguarda i fratelli Caracciolo, il cui inserimento è stato forse episodico ed ancora poco “maturo”. Il secondo, che concluderà il ciclo, invece racconta di un inserimento cominciato nel 2009 e con problematiche già più vicine alle attuali.
Roberto e Giulietta Caracciolo fanno rivivere nel mio ricordo un’epoca primitiva della cooperativa, quando la componente “malata” era molto presente, se non prevalente nei confronti di coloro che si potevano definire “sani” e che avevano comunque la responsabilità di mandare avanti l’attività. Quella ristorativa era l’ultima arrivata e spesso coloro che la mettevano in atto erano le stesse persone che fino a qualche tempo prima avevano svolto i lavori dell’orto o, peggio, della raccolta differenziata. Naturalmente questo non avveniva contemporaneamente, ma era come se molti di loro si portassero dietro anche nell’accogliere gli ospiti del ristorante i modi, le abitudini avute nelle attività un po’ rudi svolte fino a poco tempo prima.
Questo forse spiega anche qualche remora che ho provato nel raccontare quelle vicende che viste con gli occhi di oggi ci farebbero rabbrividire.
Per venire ai nostri, Roberto era forse il più sofferente dei due, aveva avuto una adolescenza incandescente di ribellione, confusa e aggressiva, che aveva scontato pesantemente con un anno di manicomio criminale in quel di Aversa. Dopo quel periodo era tornato a casa ridimensionato e forse per sempre indebolito nell’autostima. Era diventato docile e pronto ad impegnarsi su quello che gli veniva proposto. In cooperativa si occupava dell’orto e soprattutto del pollaio che in quegli anni era un’attività fiorente. Questo non escludeva che qualche volta si prestasse anche ad aiutare al ristorante che in quegli anni lavorava saltuariamente e soprattutto con le gite scolastiche, il che voleva dire menù concordato (quasi sempre il solito), poche richieste e poche sorprese. Lui era impegnato nell’apparecchiare, nello spostare i tavoli, qualche volta nel lavare i piatti, mai nel servire. Insomma, attività semplici e che non avessero contatto diretto con i clienti. Infatti, qualche volta capitava che il vecchio Roberto aggressivo facesse di nuovo capolino con qualche scatto d’ira che di solito era innescato da richieste troppo pressanti e ravvicinate di fare cose. Roberto aveva bisogno di un ritmo lento che gli permettesse ogni tanto di fermarsi a sognare o semplicemente a notare la bellezza di un fiore o di una nuvola. Pensieri che poi avrebbe sviluppato con la creatività che indubbiamente aveva in qualche poesia o in qualche disegno. Alcune delle sue rime sono rimaste quasi un cult per tutti noi che abbiamo vissuto quel tempo.
Ma oggi, con qualche brivido, voglio raccontarvi un episodio del Roberto aggressivo. Una bella giornata di primavera, cielo azzurro e prati rigogliosamente verdi, era in procinto di arrivare un bel gruppo di studenti e la “febbre” organizzativa si stava alzando, perché erano ancora molte le cose da fare. Così Franco, l’infermiere che faceva anche da cuoco, cominciava a chiamare tutti a raccolta, probabilmente trasmettendo con la voce una nota ansiosa. E quando chiamò anche Roberto – “forza Roberto muoviti, vieni a dare una mano, non ti addormentare sempre…” provocò una reazione immediata e spropositata. Roberto che si trovava vicino al pollaio e che aveva in mano un pennato si imbestialì e partì a corsa verso la cucina con l’arma alzata, urlando e dicendo a Franco che lo avrebbe ammazzato. Chi poteva garantire che non lo avrebbe fatto, pur pensando ad una di quelle reazioni che finivano con un po’ di berci e qualche rimbrotto? Franco fu bravo perché non si impaurì più di tanto, lo fece sbollire ed alla fine gli toccò pure consolarlo quando Roberto si mise a piangere impaurito del suo stesso scatto. E menomale che gli ospiti non erano ancora arrivati e così mangiarono tranquilli senza neppure intuire quello che era successo.
Ma la “carriera” di Roberto come componente della brigata di cucina finì quel giorno.
Giulietta invece era meno problematica del fratello, aveva anche tenuto per un certo periodo un lavoro “vero”, poi però le traversie familiari e la sua scarsa dotazione naturale l’avevano relegata in una situazione simile a quella del fratello a cui era molto legata. E così fu anche lei inserita nelle attività della cooperativa ed in quelle della cucina in qualità di lavapiatti ed a volte di cameriera. Il suo carattere era molto meno tempestoso di quello di Roberto. Lei aveva sempre voglia di ridere, di raccontare barzellette, di prendersi gioco delle cose intorno a lei. A volte diventava un po’ troppo ciarliera ed era necessario limitare un po’ le sue uscite che rischiavano di andare spesso sopra le righe.
Due sono i ricordi che la riguardano. Le due scene, così diverse tra loro, si svolgono entrambe nell’edificio del ristorante all’orto de’ Pecci e mettono in luce il multiforme modo in cui si presentava agli altri.
Proprio all’orto de’ Pecci fu organizzata, diversi anni fa (siamo nella primavera del 2001), la giornata di primavera del Fai e così per diverse ore ci fu un susseguirsi di persone che passavano, guardavano, magari si ristoravano presso il bar dopo la lunga camminata. Quella sera Giulietta era stranamente elegante e non un po’ sciatta come di solito. Aveva una sorta di abito lungo, blu scuro che addolciva un po’ la sua abbondanza e uno scialle color pervinca che teneva mollemente sulle spalle. Quando arrivava qualcuno, era la prima che si presentava ad accogliere le persone con il suo sorriso e la sua premura. E fu così che diversi visitatori, tra cui alcuni nobili, dopo essersi presentati e aver sentito il suo cognome importante, le chiesero se era parente della principessa omonima. Lei con perfetta padronanza di sé non rispondeva né si né no. Sì, è vero, – aggiungeva – aveva sentito parlare di quella signora, e lo faceva riuscendo a conservare un tale aplomb che molti andarono via convinti che forse faceva davvero parte di un ramo, magari decaduto, di quei principi. Sì, – alcuni pensarono quella sera – non poteva non essere così, era così raffinata e elegante quella signora!
Dal sapore opposto l’altro episodio, quando in attesa di ricevere la visita del presidente della Fondazione MPS, atteso all’orto per conoscere meglio un progetto che era in predicato di ottenere un loro finanziamento, si presentò indossando sopra gli abiti da cucina un bel grembiule colorato, che ad una più attenta osservazione raffigurava Benito Mussolini che mentre salutava romanamente, “prendeva” da dietro una povera pecora. Tutti risero dopo aver esattamente compreso quelle figure e quasi immediatamente si crearono due correnti: chi voleva togliere quel grembiule trovandolo poco adatto all’occasione e chi invece pretendeva che Giulietta continuasse a tenerlo, in modo che il presidente MPS – così sostenevano – capisse esattamente dove si trovava. La questione non trovò soluzione e così, quando lui arrivò, Giulietta e il suo trucido grembiule furono i primi a salutarlo ed a portarlo verso il piccolo rinfresco che era stato preparato.
Nessuno capì se il presidente osservò e “capì” quel grembiule così bizzarro, però il progetto sia pure formalmente molto apprezzato, fu sì finanziato, ma per meno della metà.
I fratelli Caracciolo non si vedono più all’orto, Roberto è improvvisamente scomparso qualche anno fa, lasciando tutti attoniti per una fine così precoce e Giulietta invece è rimasta sola e forse, senza più Roberto, ha cambiato un po’ i suoi assetti interni, mostrandosi meno fatua di prima, forse perché consapevole di essere ormai rimasta l’unica rappresentante della sua famiglia.
Il loro passaggio al ristorante non si può definire certo un successo e ripeto che oggi, che “all’Orto de’ Pecci” è conosciuto ed apprezzato, non sarebbero certamente inseribili.
Mai però rinnegare il passato, infatti è stato anche passando attraverso le loro storie che la situazione si è poi così evoluta.